VINCENZO ORLANDO

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Vi vorrei raccontare questa cosa, che trovo possa essere interessante ma soprattutto utile per chi voglia fare della buona Fotografia (cosa ci volete fare, l’approccio da maestrino difficilmente me lo toglierà mai nessuno: diciamo approccio didattico, che forse suona meglio…).

Comunque.

Questi i fatti.

Qualche mese fa, con il buon Denis Curti, siamo andati a Bari per parlare a una convention. Devo dire che è stato molto piacevole: la sera prima ci siamo fatti una mangiata di pesce crudo che ciao proprio.

Poi il giorno dopo siamo andati alla fiera dove si svolgeva tutto l’ambaradan.

Mi hanno pure fatto e regalato (grazie!) un fantastico mini me:

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(io sono quello a sinistra)

Poi dopo aver di nuovo magnato e bevuto (di nuovo bene, da Eataly lì vicino) siamo saliti sul palco e abbiamo fatto il nostro show. Mi sembra che sia andato bene, noi ci siamo divertiti. Probabilmente anche chi ci ascoltava.

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Ma non è di tutto ciò che vi volevo parlare, questo è un, probabilmente inutile, preambolo.

Il fatto di cui vi voglio parlare è questo: prima di salire sul palco ho fatto un giretto per la fiera, curiosando e guardando. Io sono molto curioso e mi piace un sacco guardare. Tutto! Girando bello agile e tranquillo succedeva abbastanza di frequente che qualcuno mi fermasse facendomi vedere le proprie opere fotografiche. Praticamente sempre su telefonino o tablet. Non è che la cosa mi faccia impazzire (la lettura portfolio su iPhone!) ma l’ho detto, la curiosità mista a una gentilezza che cerco di far prevalere sempre sul resto.

Ad un certo punto mi si avvicina un ragazzo e, anche lui, mi chiede se poteva farmi vedere le sue foto. Dico ok. Tira fuori il telefonino e mi mostra un po’ di roba. La solita roba, ne’ bella ne’ brutta che tutti fanno e tutti mostrano. La solita roba inutile: che è peggio di brutta, come spesso dico.

Lui però molto carino, parliamo e discutiamo un po’. Ad un certo punto mi dice che avrebbe un altro lavoro da mostrarmi, e mi racconta anche un problema molto grave che ha avuto fin da piccolo. E’ una storia sulla quale non andrò nei dettagli, ma che lui stesso ha raccontato senza problemi dopo al pubblico: un problema di salute al cervello. Mi ha quindi mostrato un progetto di cinque Fotografie, dove racconta esattamente il dramma della sua malattia, con la guarigione e il lieto epilogo. Un lavoro bellissimo, vero, potente, sincero. Fantastico! Quello sì che era Fotografia!

A quel punto gli ho chiesto se voleva salire con noi sul palco. Lui l’ha fatto volentieri, dove ha, per l’appunto, raccontato le sue disavventure e parlato del progetto che ne era scaturito. Si parlava, sia parlava, ma non riuscivamo certo a mostrare le fotografie al pubblico, erano solo sul cellulare!

E allora mi sono sbilanciato con Denis Curti (che è anche il direttore de IL FOTOGRAFO), chiedendogli di pubblicare su uno dei prossimi numeri il fantastico lavoro di Vincenzo: il buon Denis all’inizio ha accettato al buio, poi con entusiasmo valutando anche lui ottimo il lavoro.

Ed ecco finalmente, questo mese, sul IL FOTOGRAFO in edicola pubblicato il progetto fotografico di Vincenzo Orlando.

Perché ne parlo qui? Innanzi tutto per rinnovare i miei complimenti a Vincenzo: bravo! Ma soprattutto per far capire a tutti che si parla di qualcosa che è vero, profondo, intimo inevitabilmente si raggiungeranno buoni/ottimi risultati: perché inevitabilmente si parlerà della propria unicità. Per fare della buona Fotografia è necessario essere autori, per raccontare qualcosa di vero, profondo e intimo: me lo dico a me stesso ogni giorno, ed è tutt’altro che facile. Ma è l’unica possibilità per non fare le banali cagate che fanno tutti.

Ed ecco l’ottimo lavoro Fotografico di Vincenzo Orlando, un giovane e coraggioso ragazzo di Bari, Puglia, con le didascalie originali:

1-L'infanzia_felice
1-L’infanzia_felice
2-Il buio assoluto
2-Il buio assoluto
3-la depressione
3-la depressione
4-La ripresa
4-La ripresa
5-la rinascita
5-la rinascita

 

IL FOTOGRAFO in edicola:

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7 risposte

  1. Riccardo

    Ciao Settimio,

    ho una domanda che già da un po’ di tempo volevo provare a porti, e questo articolo può essere una buona occasione per formularla.

    Intanto ti ringrazio per averci fornito un ulteriore valido esempio di cosa è la Buona Fotografia – e faccio i complimenti a Vincenzo per il lavoro e per essersi raccontato in maniera così intima – ma quello che vorrei chiedere è: quanto è necessario, perchè la Buona Fotografia possa essere riconosciuta come tale, che essa sia accompagnata da una descrizione o spiegazione, verbale o scritta che sia?

    Mi spiego meglio (o almeno ci provo): se Vincenzo ti avesse fatto vedere le stesse 5 foto dicendo che erano, per esempio, degli esperimenti (oppure non dicendo niente!), quasi sicuramente le avresti considerate banali, inutili, ecc… Ma nel momento in cui ti ha raccontato di sè e ti ha spiegato il perchè di quelle foto, allora esse hanno assunto un valore totalmente diverso (pur essendo sempre loro).

    La Fotografia ha quindi bisogno di un “supporto” narrativo/descrittivo (titolo, descrizione o racconto che sia) per poter essere più efficace e valevole? Sì, no, a volte?

    Perchè se a volte, a fare la differenza tra una fotografia e una Fotografia è il “testo” ad essa associato, allora è proprio quest’ultimo a fare la differenza, non l’immagine.

    Mi piacerebbe sentire un tuo pensiero su questo argomento.
    Grazie 1000,

    Riccardo

  2. Max

    Io mi accodo al messaggio di Riccardo affermando che, spesso, su siti o su riviste, ho sofferto la mancanza di un testo accompagnatorio ad una serie di fotografie pubblicate, anche molto belle, ma delle quali non capivo bene la “logica” del lavoro svolto. Quindi mi sono sempre chiesto anch’io la stessa cosa; se il testo in realtà è elemento essenziale per decretare il valore di un lavoro oppure se puo’ vivere sempre senza. In alcuni casi è sicuramente superfluo: mi riferisco ad esempio al tuo lavoro dei Babbo Natale fotografati in “divisa” e in “borghese”, ma purtroppo in molti altri senza una spiegazio e non se ne viene fuori.

  3. settimio

    @riccardo @max
    allora, la questione è questa.
    la spiegazione o, meglio, l’esegesi di un’opera è sempre indispensabile.
    SEMPRE.
    quelli che dicono che Picasso non ha bisogno di spiegazioni sono semplicemente ammaliati dal nome e dalla fama di Picasso, per cui qualsiasi cosa a “brand” Picasso è per forza meravigliosa.
    Ma le opere vanno spiegate e capite: sempre.
    Avete mai avuto una visita guidata di un artista? Siete rimasti o no scioccati/meravigliati/stupiti dei mille significati che le sue opere d’arte avevano nascoste e che una volta capite hanno reso le opere VERAMENTE meravigliose?

    La bellezza è SEMPRE apprezzata all’interno di codici che la rendono capibile.
    Una cosa “bella” per noi non lo è nella cultura giapponese. E il contrario.

    Vale per qualsiasi cosa.
    Un vino viene apprezzato quando capisci e conosci cosa ha portato quel vino ad essere un grande vino.
    Perché, non c’è dubbio alcuno, quando non capisci di un certo argomento, di quell’argomento capisci e quindi apprezzi la merda: uno che non sa nulla di vini ama il Tavernello, mica il Brunello!
    E, andando agli estremi, se facciamo assaggiare il Brunello a un selvaggio uscito dalla foresta, non lo capirà! E preferirà della normale acqua.

    Insomma: SI APPREZZA CIO’ CHE SI CAPISCE. Su questo non ho alcun dubbio.
    E quindi bisogna conoscere. E quindi bisogna capire. E quindi bisogna che ci sia una spiegazione.

    Io il lavoro di Vincenzo lo avrei apprezzato e capito anche senza il suo racconto, perché conosco quel linguaggio. Conosco il codice.

    Ma l’ignorante di Fotografia preferisce MILLE volte una foto di merda di una tramonto del cazzo alle Fotografie di Vincenzo: ma dopo la spiegazione (sempre necessaria, soprattutto per gli ignoranti, di cui è PIENO il mondo) non sarà più così!

    Spero di essere stato chiaro!
    Settimio

  4. Max

    Grazie per la risposta Settimio.
    Si in effetti io condivido tutto quello che dici, da anni ormai. Condivido il fatto che il linguaggio fotografico lo devi conoscere per poterlo leggere e per usarlo, anche se poi in giro è difficilissimo trovare chi realmente te lo insegna, mentre è facilissimo trovare milioni di stupidi manuali e tutorial che, possono essere anche utili, ma che non ti daranno mai la lettura profonda della fotografia.
    Infatti io lamento il fatto che spesso mancano spiegazioni sui lavori di alcuni autori che ti farebbero apprezzare di più i loro lavori. Lamento il fatto che alle volte non colgo il loro messaggio, perché mi mancano degli elementi per apprezzarli (foto e/o testi).
    Quindi dal mio piccolo io vorrei suggerirti, se puoi e se ti va di farlo in futuro, di darci più esegesi di lavori di altri autori (i tuoi lavori li racconti spesso e apprezzo moltissimo tutto questo sforzo che fai per noi – anche se molti non riescono a capirti).
    Grazie ancora!

  5. Ettone

    Concordo sui discorsi detti sopra, aggiungerei solo una cosa che a mio avviso è importante… Leggendo il post di Settimio non vorrei che passasse un messaggio a senso unico ovvero che la fotografia sia “buona” se racconta storie vere (in questo caso intime e personali, e se vogliamo anche “crude” e “tristi”)… La fotografia può raccontare anche cose inesistenti, fantasiose, lanciare messaggi che sì, devono per primi essere pensati, ragionati e ricercati dal fotografo (scattare ad cazzum non porta mai a niente) ma non per questo devono raccontare la propria vita in una sorta di autobiografia… Così come esistono ottimi film che non raccontano la realtà, anche in fotografia si può “raccontare altro” purché lo si racconti, a mio avviso, “sentendolo”…

    Personalmente, a livello critico (del tutto personale), queste foto non mi suscitano un granché, mi ha emozionato molto di più il racconto della storia… ma questa è una questione di gusto personale… giusto per dire quello che penso e non fare quello che prende per bello tutto ciò che è a “brand” Benedusi… 😉

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